25 Nov La tua strategia di content è corretta?
Negli ultimi anni, di pari passo con lo sviluppo del commercio elettronico, è stata rivolta un’attenzione sempre maggiore ai contenuti che le aziende propongono sui propri blog. In un certo senso, è come se questi, non solo nell’ambito ecommerce, avessero assunto il ruolo informativo che, fino a qualche tempo fa, era svolto da libri e giornali (che non a caso, almeno in Italia, sono in crisi sempre più profonda). Il motivo di questa attenzione è essenzialmente legato all’acquisizione di nuovi clienti: nuovi contenuti, nuovi posizionamenti sui motori di ricerca, maggiori possibilità di intercettare i prospect giusti.
Con questa logica, a lungo andare, si è sempre verificato un progressivo impoverimento dei contenuti stessi: la “guerra” si è spostata più sulle keyword, con l’obiettivo di conquistare spazi sempre più grandi, piuttosto che sul contenuto in sé. Non a caso, oggigiorno, è possibile trovare migliaia di articoli, spesso fotocopia, su altrettanti blog scritti un tanto al chilogrammo da qualche copywriter che è andato a caccia di informazioni sul web. Un trucco che qualche volta funziona e, molte altre volte, fallisce miseramente.
Allora, la strategia qual è? In realtà, è molto più semplice di quel che può sembrare. Se i motori di ricerca si muovono sempre più in direzione delle persone, chi produce contenuti non può che fare altrettanto. Capiamo come.
Il piano editoriale è morto
Sì, è l’ennesima dipartita dopo la SEO, i social, Google+ e chi più ne ha, più ne metta. In realtà, il PED, come lo chiamano quelli bravi, è un parto mal riuscito, che ha dato luogo a numerosi malintesi. L’idea errata alla base di un piano, com’è inteso dalla maggior parte, è che sia possibile incasellare un articolo/mese o due articoli/mese, a seconda dei contratti con agenzie e freelance. Il principio è, per l’appunto, quello di un prodotto comprato al chilogrammo.
I piani editoriali, però, non dovrebbero essere fatti per soddisfare gli accordi contrattuali, ma per andare incontro alle esigenze della community a cui si rivolge quel blog. Un esempio: un blog che tratta abiti, nella logica comune di Piano editoriale da un contenuto al mese, potrà proporre contenuti del tipo “Come abbinare gonna e camicia”, “Come vestire alla moda nel 2023”, ecc. Così facendo, però, si corre il rischio di non incontrare mai l’attualità: la Milano Fashion Week, Alessandro Michele che rompe con Gucci, ecc. Il rischio qual è? I nostri contenuti, magari, troveranno anche un posizionamento organico necessario a intercettare i prospect, ma questi non diventeranno mai community nel senso più autentico del termine. E quindi, saremo sempre chiamati a cercare nuovi potenziali clienti, invece di tenerci stretti quelli che abbiamo già ottenuto.
La SEO è importante ma non è tutto
Esatto, la SEO non è morta. Anzi, è vivissima. Il tema, che si lega al paragrafo precedente, è che la nostra strategia di content non può focalizzarsi solamente su questa. Estremizzando: avere un miliardo di visualizzazioni di pagina al secondo, oltre alla goduria del SEO manager, produce costi di infrastrutture elevati, ma non è detto che produca introiti adeguati allo sforzo prodotto.
E quindi? Quindi la SEO è importante per costruire una solida reputazione del proprio brand, affinché i motori di ricerca comprendano l’autorevolezza del blog e, poiché di principio non è sbagliato, per intercettare qualche nuovo potenziale cliente. A questa, però, si deve affiancare una strategia che consenta di offrire un contenuto differente al lettore: un punto di vista personale, che consenta di esprimere i valori di marca (basti pensare alle tante campagne di sensibilizzazione dei brand sui temi sociali), proposte alternative a quelle della massa, spiegazioni, “a modo proprio”, di concetti anche complessi.
Se col nostro blog ci rivolgiamo a un pubblico di automobilisti, probabilmente, sarà inutile spiegare il concetto di entropia in un articolo che illustra il funzionamento del motore endotermico, anche se i motori di ricerca lo richiedono. Allo stesso tempo, però, potremmo proporre un contenuto che, in chiave figurativa e con un linguaggio molto semplice, illustra questo importante concetto alla base del funzionamento dell’intero Universo.
Qual è il risultato? Magari questo contenuto non si posizionerà mai per questa keyword, perché i motori non gli riconosceranno la necessaria autorevolezza, ma, allo stesso tempo, offrirà ai nostri clienti una spiegazione chiara e adeguata dell’informazione, in una maniera che non avrebbero trovato su altri blog che propongono articoli scientifici, spesso errati poiché scritti da chi non è completamente padrone della materia. E il nostro cliente sarà legato “per sempre” al ricordo di quella spiegazione chiara offerta dal nostro blog.
Le fonti, quelle giuste non sono gli altri blog
Se andassimo fino in fondo a cercare l’origine di alcuni falsi miti diffusi negli ultimi tempi, probabilmente troveremmo qualche blog che ha dato origine alla mistificazione e una pletora di altri blog che l’hanno ripresa. Il tema, però, non è quello delle fake news, ma delle fonti: affidarsi ad altri blog, al più, può produrre solo contenuti fotocopia che riportano sempre le stesse informazioni. Può funzionare, se usiamo uno stile di scrittura personale, ma è facilmente sostituibile. Questo impone uno sforzo di ricerca delle fonti giuste: libri, ricerche, documenti ufficiali, da un lato. Fonti dirette dall’altro: se stiamo scrivendo un contenuto su una ricetta tradizionale, probabilmente, potrà andare bene anche la signora Maria che ricorda come quel piatto veniva cucinato dagli avi. Questo significa produrre contenuti originali, che al più saranno copiati e non copieranno, più approfonditi rispetto alla media e senza copia di errori.
«D’accordo, ma chi leggerà il mio contenuto?»
La domanda è pertinente, ma non centrata. Il motivo è semplice: ancora una volta, ci concentriamo sul “quanto”, piuttosto che sul “chi”. Non è importante che siano migliaia a leggere un contenuto, ma che siano quelli giusti. Pensiamo alla distinzione che gli strumenti attuali fanno delle keyword: informational e transactional: le prime pensate per chi vuole solo avere informazioni riguardo a un certo tema (p.es. “Che cos’è l’entropia?”), le seconde pensate per chi vuole acquistare (p.es. “Quanto costa un motore nuovo?”). Già questa distinzione ci lascia intuire qual è il nostro compito, a monte della ricerca estrema del posizionamento. Se estendiamo questo concetto, capiremo che i nostri contenuti non possono funzionare come reti a strascico, che pescano qualsiasi pesce del mare, anche quelli non commestibili.
«Sì, ma il mio blog deve “pescare” altrimenti non mangio». È vero, per questo di strumenti ne abbiamo diversi. La SEO, per esempio, è assolutamente da tenere in considerazione perché consente di posizionarsi correttamente e di ridurre i costi di acquisizione del cliente. I social, nonostante il periodo poco felice di Facebook e Twitter, possono ancora offrire ampi margini per intercettare il pubblico giusto. Pensiamo per esempio al successo che LinkedIn sta riscuotendo negli ultimi anni. Ancora, la newsletter ci consente di andare incontro all’utente giusto tramite segmentazione, di verificare l’apertura e il clic, e di intercettare solamente chi è veramente interessato ai nostri contenuti. Anche i podcast, che negli ultimi anni hanno riscosso un crescente interesse, possono funzionare. Alcuni, per esempio, si affidano ai sintetizzatori vocali per leggere contenuti già scritti. L’utente può così scegliere se leggere il contenuto o farselo leggere mentre, per esempio, è alla guida.
Tutto questo richiede uno sforzo aggiuntivo? Certo che sì, ma anche la realizzazione di un blog pensato solo al posizionamento richiede uno sforzo maggiore rispetto a quando si apriva la saracinesca in attesa dei clienti. È il mondo del commercio che si evolve e noi possiamo solamente andare incontro a queste nuove esigenze.