16 Apr Guerra e vendite online, come e quanto il conflitto influisce (anche) sugli e-commerce
La guerra in Ucraina, oltre alle evidenti e ben più rilevanti conseguenze in termini di vite umane, sta avendo ingenti ripercussioni anche sulle attività e le scelte di chi opera nel settore delle vendite online.
In 4 punti isendu, piattaforma italiana di automazione delle spedizioni, argomenta come gli ultimi eventi stiano influenzando domanda, approvvigionamento, prestiti e spedizioni e suggerisce come comportarsi di conseguenza.
Aprile 2022 – Se da un lato va fatta un’importante premessa, e cioè che l’unica vera, tangibile e importante conseguenza che questo conflitto sta generando si conta in vite umane, vanno tuttavia considerate anche tutte quelle ripercussioni secondarie che avranno effetti sull’economia, sulle persone e sul loro lavoro non indifferenti. Una di queste riguarda il comparto delle vendite online, un settore che, nel 2020, contava un volume globale di pacchi spediti di oltre 120 miliardi e che si prevede sarà più che duplicato entro il 2026 (266 miliardi).
A questo si aggiunge l’aggravante del personale, come riporta l’International Chamber of Shipping in una nota di fine febbraio, secondo cui quasi il 15% della forza lavoro globale nel campo delle spedizioni è russa (10,5%) o ucraina (4%). Senza contare i costi volati alle stelle e le operazioni sempre più rallentate, che non fanno che incrinare un settore già messo in ginocchio dalla pandemia. Infine, le sempre più dure sanzioni alla Russia rendono lo scenario ulteriormente complicato: è solo di pochi giorni fa l’emanazione della quinta tranche di ammende per un valore totale di € 10 miliardi.
Sull’argomento interviene isendu, piattaforma nata nel 2019 e specializzata nell’automazione delle spedizioni grazie alla dashboard di gestione con cui connette i canali di vendita dei propri clienti ai corrieri. isendu, infatti, ha analizzato l’attuale situazione del comparto e-commerce, argomentando in quattro punti gli aspetti da tenere più a mente se si opera in questo settore.
- Il primo riguarda l’approvvigionamento, ovvero il recupero delle materie prime, che al momento non solo scarseggiano ma costano anche molto più del solito. Il petrolio, ad esempio, si attesta oggi intorno ai 100 dollari al barile, dopo aver toccato, circa un mese fa, 130dollari. Ne derivano, quindi, enormi problemi alla filiera di approvvigionamento, non soltanto per aziende russe o fornitori con filiere in Russia, ma anche per realtà site in altri Paesi del mondo che acquistano le materie prime in Europa. La Russia, infatti, è il primo esportatore globale di petrolio e uno dei principali di gas, grano, cereali, rame, legno e ferro: solo da Regno Unito e Unione Europea, la Banca Centrale ha stimato che la Russia guadagni in termini assoluti quasi 290 milioni di dollari con il greggio e 100 milioni con il gas. Appurate, quindi, le conseguenze di questo conflitto e delle sanzioni sulle spedizioni mondiali, il consiglio è quello di differenziare il bacino dei propri fornitori, destinando una parte delle proprie giacenze alla creazione di un bagaglio di emergenza in caso di esaurimento scorte.
- La crescita dei prezzi del gas si riverbera direttamente anche sui costi del trasporto delle merci, soprattutto per i pacchi dalle dimensioni più ridotte (sia perché questi richiedono più ritiri da più mittenti, e quindi più slot logistici impiegati, sia perché più pacchi di piccole dimensioni implicano una maggiore inefficienza nell’occupazione dei volumi logistici). Un aumento di questa entità, naturalmente, non interessa solo il trasporto via terra, ma anche quello aereo e quello via mare, già piegati dal Covid, con importanti ricadute sull’intera filiera, dal produttore al consumatore.
- Anche la domanda si adatta alla situazione, ridimensionandosi o facendo scelte obbligate. C’è da chiedersi, quindi, se il consumatore, considerato l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, continuerà a spendere le stesse cifre e ad acquistare la stessa quantità di beni o servizi. E la risposta risiede nella reale necessità del consumatore – da studiare attraverso un’analisi della domanda – che probabilmente sceglierà di destinare le proprie risorse a prodotti essenziali, dei quali è indispensabile che il gestore di un canale di vendita online sia ben consapevole. Ne risulta, quindi, che i marketplace generalisti – ad esempio Amazon – saranno meno colpiti da questa crisi poiché possiedono stock di merci utili anche in momenti eccezionali, mentre gli e-commerce proprietari, presidiando le nicchie, coprono spazi di mercato meno essenziali.
- Infine, un’altra importante conseguenza che questa guerra avrà sulle economie mondiali nei prossimi anni riguarda l’inflazione. La Federal Reserve, infatti, ha già aumentato i tassi di interesse, che però si teme cresceranno ancora se il conflitto si protrarrà nel tempo, segnando cicatrici indelebili. L’effetto ricadrà anche sulle aziende e sui consumatori, che vedranno crescere i costi dei finanziamenti. Quindi il consiglio, nel caso si abbiano linee di credito aperte, o se si lavora in questo settore, è di prevedere quale potrebbe essere l’impatto di questo incremento sul proprio business, in modo da farsi trovare preparati nel caso in cui la situazione dovesse ulteriormente aggravarsi.
“Nel pieno di una ripresa possibile e auspicabile, le nostre economie si trovano a dover fronteggiare le conseguenze economiche di una guerra con due impatti decisivi sul comparto e-commerce: quello logistico, dovuto all’impennata dei costi del trasporto internazionale – non va dimenticato che oltre i due terzi dei prodotti acquistati sui marketplace arrivano dal sud-est asiatico che, pur non essendo teatro del conflitto, necessita di quel tratto per il passaggio del traffico aereo -; e quello recessivo, che rischia di deprimere la propensione al consumo, in un momento in cui stavamo registrando una crescita generalizzata della domanda anche online, a seguito della graduale conclusione della pandemia. Va ricordato, infine, che la resistenza del comparto e-commerce è saldamente legata agli e-commerce locali, che soddisfano la domanda del posto, dove il costo dei trasporti è più basso, la fiducia è maggiore e i brand hanno più presa sul mercato”, commenta Marco Pericci, Head of Growth di isendu.
“Per noi tutti è fondamentale che la nostra esperienza, le nostre conoscenze e le nostre risorse possano, anche in un periodo così delicato, essere di supporto a chi sta vivendo in prima persona questo conflitto. Ecco perché abbiamo di recente avviato un’attività di head hunting sui territori dell’Ucraina e limitrofi con l’obiettivo di accogliere nella nostra squadra professionisti del mondo digitale, come software developer, provenienti da quei Paesi in cui, negli ultimi dieci anni, si stava sviluppando un tessuto specialistico eccezionale. Questa attività di recruiting, come si evince da LinkedIn, prevede anche la copertura delle spese di housing e relocation per un totale di € 5000”, conclude Lando Barbagli, CEO di isendu.